E-mail Print
Valerio Terraroli

Dell’uomo e della natura

di Valerio Terraroli

Un’ondata di azzurro e blu cobalto, appena striata di sottili e impalpabili effluvi biancastri, forme mpercettibili insieme concrete e virtuali, paesi e città moderni eppure antichi, ecco il mondo poetico e l’atmosfera visuale che ti accolgono e ti abbracciano nello studio di Gaetano Di Riso. Si tratta, come è giusto he sia, di un mondo pittorico tutto interiore, a lungo meditato e visitato dall’artista, senza tuttavia mostrare ai un algido distacco dalle esperienze reali, ché anzi le porzioni di mondo che Di Riso costruisce sulle tele, entamente e con un’attenzione miniaturistica, sono tracce di vita vera, di vita vissuta, di contesti angibilmente umani.Il percorso segnato dal pittore è stato accidentato e complesso, i mutamenti radicali eppure percorrendo il suo urriculum o meglio ripensando alle sue opere si coglie una tensione emotiva forte e coerente, la quale nel assato emergeva palesemente e in modo violento e per certi versi irrazionale dalle tele, poi ha via via trovato na strada diversa, ma non per questo meno forte. Anzi il decantarsi delle tensioni, il liberarsi da doverose ichiarazioni d’intenti, il guardare il mondo esterno con occhi smaliziati e affettuosi, ha dato vita ad un nuovo inguaggio pittorico caratterizzato da una sintassi compositiva armonica che si muove sempre all’interno di un rande respiro sia cromatico sia di ispirazione poetica.Ho già avuto occasione di parlare di questi paesaggi umani o, se si vuole, di uesti uomini paesaggio nei quali la fusione, in apparenza senza contrasti, tra la Natura e le presenze umane, are impersonare un mondo neorinascimentale nel senso di un universo armonico e positivo, perfettamente razionale in ogni parte commensurabile e comprensibile. Tuttavia la non definizione dei dettagli, il rifiuto di una escrizione naturalistica, la semplificazione e commistione dei piani, le atmosfere evocative, inducono a vedere e pensare in queste tele di Gaetano Di Riso qualcosa di più di ciò che i nostri occhi d’acchito percepiscono, ualcosa che attiene più alla sfera delle esperienze inconsce e dei sentimenti universali. Il paesaggio, ammesso he si voglia utilizzare questo genere della pittura di tradizione per indicare insiemi di natura e paesi, rizzonti remoti e figure umane, è qui interpretato in veste di enunciazioni di pensieri e di decantate sintesi di sperienze culturali ed emotive eche trova lontanissime origini nella pittura del Sublime, e cito per tutti e non asualmente l’opera di Caspar David Friedrich, ma che ha avuto un’infinita serie di rielaborazioni e declinazioni anche nella pittura del nostro secolo dalla Metafisica al Novecento.Nelle ultime opere realizzate tra il 1997 e la prima parte del 1998, uelle che appunto oggi vengono esposte, si riconosce un ulteriore cambiamento nelle modalità e negli approcci ai roblemi della pittura da parte dell’artista. In queste recentissime opere emerge con più definita volontà e con na forza delicata e decisa una parvenza delle “cose” umane sulla genericità cosmica della Natura. E non si tratta emplicemente di una maggiore definizione dei corpi-mondo che contengono paesaggi, né di un maggiore spazio dato ai segni indelebili dell’antropizzazione della natura mediterranea, bensì di atmosfere nuove, se si vuole splicitamente evocative, di “presenze” sia umane sia sovra-umane e di architetture senza tempo, classiche e ustiche, dignitosamente povere e aristocratiche, tutte incastonate come pietre iridescenti nei titanici orpi-natura che talvolta si aprono a mostrare profonde e magmatiche fatture, tal’altra si rivestono di fronde, rbusti, fumi e sottili vapori. Un Mediterraneo palpitante di vita, velato di atmosfere nordiche e lussureggiante ome l’Oriente, austero come il deserto e cangiante come i ghiacciai, ci abbraccia e penetra nei nostri occhi alle tele di Gaetano Di Riso: esse ci parlano un linguaggio antico e ci proiettano verso un futuro, un nuovo assello si è aggiunto al mai terminato discorso dell’uomo e della natura. Lunedì 7 iugno 2004, venerdì sera mentre mettevo ordine… o forse era sabato mattina ho trovato un po’ della mia pittura, ra una breve collezione di piccole tele, alcune veramente piccole; stavano dentro un sacchetto di plastica rasparente, sai quei contenitori che sembrano delle grandi buste da lettera col risvolto? L’ho aperta e iano-piano ho incominciato a guardarle. Sono venute fuori ombre d’uomini con case, fiumi, paesi, alberi, fumi, ma oprattutto figure notturne. Erano ombre d’angeli con grandi ali, ombre di persone in piedi, figure lontane… Come l solito. La Pittura mi aveva trovato! Stupendomi. Quando accade che vengo visitato dalle mie cose, quando le riconosco, mi prende una gran presunzione, mi orprendo dell’amore per quelle immagini. Più mi passano sotto gli occhi e più m’inorgoglisco e più mi sembra inopportuno tanto entusiasmo, mi lascio andare ad una forma di piacere paradossale e di segreta felicità. Forse o faccio per stupirmi, oppure per darmi coraggio, però quelle piccole tele, in questo caso, mi piacevano (e mi iacciono) tantissimo. Guardandole mi meraviglio della serietà del linguaggio pittorico, di quella sobria essenzialità che si nota nell’uso del colore e nel descrivere le forme. La capacità di narrare il silenzio, la ontananza, la compostezza, la bellezza di figure messe in salvo dalla quotidianità. Rese senza tempo, per essere à dove il futuro è già stato...

Last Updated ( Wednesday, 12 January 2022 09:19 )
 
joomla template